Tom e il vecchio

Tom si guardava le mani, erano mani belle, agili e nervose, ma il lavoro nei campi della Luisiana vi aveva già impresso linee dure e nette. Si ricordava il suo arrivo a Napoli, gli scugnizzi, il frastuono, il vino bevuto in una trattoria e poi l’andare a letto con una donna, una donna qualsiasi. Aveva poi conosciuto Lisa, una ragazza friulana: quelle sue mani, nere come
il carbone, sapevano scuotere sin nel profondo delle viscere la giovane donna. Tom di quella ragazza diciottenne si era innamorato a prima vista, da quando l’aveva incontrata nella camera d’affitto, vicino alla Base Aerea.

Troppo vicina, pensò Tom. Accese una sigaretta: la divisa blu di sergente dell’Air Force giaceva a sghimbescio sulla sedia. Le sue mani nere,il suo corpo nero piacevano a Lisa, avevano il profumo selvatico del bosco, gli aveva mormorato un giorno nell’orecchio. Il suo odore di nero! Tom lo sapeva... Infatti il vecchio non ci stava. Tom lo aveva incontrato scendendo dalla macchina, il giorno in cui era venuto a portare la sua roba.

Il vecchio usciva da una stalla, aveva un paio di stivali sporchi ed un buffo cappello, con una strana penna su un lato. Tom aveva sentito subito l’odore inconfondibile del letame, era l’odore di suo padre. Suo padre! Uno degli ultimi laggiù a tenere ancora vacche nella stalla, ma presto sarebbe scomparso, come tutto quel mondo che lui odiava, i bianchi, i neri, l’apartheid. Ed ora quel vecchio italiano, che puzzava di letame, non aveva potuto fare a meno di storcere il naso quando gli aveva stretto la mano... Il suo odore di nero!

Il vecchio aveva mormorato una bestemmia , era stato più forte di lui, sua figlia lo aveva avvertito, l’odore di pelle di nero era inconfondibile, ma i dollari non puzzavano e loro avevano bisogno di soldi. Eppure quel nero gli era simpatico, lui se ne fregava della razza, aveva visto cose ben più terribili nel gelo della Russia; lo sentiva dentro, forse erano gli occhi del nero, erano sinceri, forse erano i calli sulle mani nere, erano eguali ai suoi, parlavano la voce dei campi.

Era scesa la sera, un sole d’oro tramontava oltre i boschi del Cansiglio. Il vecchio riposava fuori della stalla, guardava Tom, il volto nero ormai confuso con le ombre della sera. Tom appoggiato allo stipite della porta della sua camera, fumava una sigaretta; il disco rosso del sole scomparve oltre la linea dei monti. La nostalgia gli serrò la gola, si ricordò della piccola fisarmonica, frugò fra la sua roba, la trovò, la portò alla bocca, trasse un respiro profondo e le note struggenti dei canti neri di suo padre, di suo nonno, appena accennate, salirono leggere oltre il fumo della sigaretta, si avvolsero nell’aria fresca del cortile, giunsero al vecchio.


Tom scorse il vecchio alzarsi, sparire per un attimo nella stalla, ritornare con un fodero consunto dall’uso. I tasti bianchi di una fisarmonica luccicarono nell’ombra, le dita del vecchio scorsero agili e lievi, sulla tastiera, descrissero serene le note di una Villotta friulana Insieme le note salirono verso l’alto, non nere non bianche, ma del colore del cielo.

Gianfranco Scilipoti